Un orto, due orti, mille orti…

13 07 2009

In un mondo che fa sempre più fatica a nutrirsi, come ha ripetuto ancora una volta il Segretario Generale dell’ONU all’Aquila, non e’ un mistero che chi si occupa d’innovazione sociale stia rivolgendo sempre di piu’ l’attenzione al fenomeno dell’agricoltura urbana come ad una possibile parziale soluzione. Basta guardare l’articolo di Gianfranco Chicco recentemente pubblicato su Wired Italia, su come verdura venga ormai coltivata nei caveau del centro di Tokyo. O al putiferio mediatico suscitato dal primo raccolto dell’orto creato da Michelle Obama alla Casa Bianca.

E’ un tema, pero’, che alcuni promuovono da anni, ben prima che crescere il proprio cibo diventasse una moda. Sustain – l’organizzazione britannica partner di The Hub che si occupa di migliorare la qualità del cibo e dell’agricoltura – se ne occupa da sempre e ci manda una interessante rassegna di articoli e informazioni sul mondo dell’agricoltura urbana. Tra quelli di maggior rilievo:

  • Un pezzo sui parchi e frutteti di Manchester;
  • Un pezzo sul Telegraph, uno sul Guardian e uno sul Times su agricoltura urbana a Buckingham Palace;
  • Un articolo su edifici nella City colpiti dalla crisi e convertiti in orti urbani;
  • Un altro su Carrot City, la mostra a Toronto sull’Agricoltura Urbana;
  • Un articolo su Food4Families, un nuovo progetto di coltivazione urbana a Reading;
  • Un pezzo su un orto sul tetto del Glide Memorial Church a San Francisco;
  • Un articolo sui cosiddetti “muri verdi”;
  • Un pezzo sulla crisi finanziaria, gli inglesi, gli orti e sul coltivare il proprio cibo;
  • Un altro sulla rivoluzione orticulturale di Rosie Boycott;

Infine, Abundance, un progetto comunitario di Sheffield, a pubblicato un’ottima guida su come coltivare frutta in contesti urbani. La guida spiega in maniera semplice e dettagliata le tecniche di coltivazione piu’ adatte a questo tipo di coltivazione. In piu’ e’ completamente gratis! La potete scaricare qui (PDF)!





Cameriere? C’è della benzina nel mio caffè!

16 03 2009
courtesy: FotoAntologia.it via Giovanni Savastano

courtesy: FotoAntologia.it via Giovanni Savastano

Se mai siete incuriositi dal mondo della tecnologia applicata a soluzioni sempre più innovative alle sfide ambientali che ci circondano, The Economist pubblica ogni 3 mesi Technology Quarterly, una rassegna fondamentale sull’argomento. Al suo interno, 2 settimane fa, c’era un articolo molto interessante sul fatto che i fondi di caffè – che noi tutti buttiamo via (chi nella spazzatura, chi nel lavandino, a seconda della scuola di pensiero) – possano in realtà essere riutilizzati come fonte d’energia combustibile.

Che molti prodotti vegetali possano produrre biocombustibile non è una novità. La biomassa necessaria per produrre il biocombustibile deriva spesso da residui di colture agricole, potature, scarti di mercati ortofrutticoli e lavorazioni di falegnameria, dalla frazione “umida”, insomma, dei rifiuti solidi urbani, residui organici di stalle, allevamenti e industrie alimentari ecc. Ma sempre più spesso, si coltivano piante appositamente, come la canna da zucchero e la soia, per ottenere la preziosa biomassa.

Il problema con queste colture sta nella diminuzione di altre dedicate alla produzione di cibo. Con l’aumento di semine volte a soddisfare il crescente bisogno di biomassa è diminuita la produzione di prodotti agricoli per esportazione, soprattutto nei mercati emergenti. Il risultato è stato un ulteriore aumento dei prezzi per prodotti alimentari basilari quali il frumento e il mais. Per molti poveri, soprattutto urbani, in paesi in via di sviluppo, più biocombustibile spesso si traduce semplicemente in prezzi più elevati per alimenti nei mercati locali. Fino a 3 volte più cari, confessa la stessa Banca Mondiale.

La scoperta che i residui di caffè potrebbero sostituire biocombustibili ordinari è ottima. Da un lato, ci spiega The Economist, la lavorazione è piuttosto semplice quando paragonata alle altre biomasse. I resti di caffè generano fino al 15% del loro peso in biocombustibile: per produrre 1 gallone (3.7 litri) di combustibile ne occorrono pertanto 19-26 kg. Dall’altro, il costo è piuttosto ridotto, ed è pari a $1 per gallone circa (e siamo solo nelle fasi di ricerca iniziale: l’attivazione di economie di scala diminuirà ulteriormente il prezzo). Infine, l’odore generato dalla combustione dei residui è un piacevole aroma di caffè, a differenza dei biocombustibili a olio, che fanno puzzare tutto di fast-food.

Che aspettiamo? Data la quantità di caffè che già ci beviamo in Italia, potremmo essere il primo paese al mondo che può vantarsi di essere veramente dipendente da quell’espresso bevuto di prima mattina…!





Slow Fish, il Salone dedicato al mare

27 02 2009

Dal sito di Slow Food:

«C’era un mare di pesci…». Comincia così la favola che Slow Food intende raccontare anche quest’anno attraverso la manifestazione internazionale Slow Fish, appuntamento a cadenza biennale che si svolgerà a Genova, per la quarta edizione, dal 17 al 20 aprile. Saranno quattro giorni di convegni, incontri, laboratori e degustazioni che approfondiranno i temi della produzione ittica sostenibile, del consumo responsabile relativamente al mare e degli ecosistemi acquatici. Slow Fish intende anche essere una importante occasione di dibattito sul futuro del Mediterraneo, soprattutto alla luce delle norme più restrittive sulla pesca che entreranno in vigore nel 2010 per i Paesi comunitari.

Scarica qui il PDF.





Ricomincio da me!

2 12 2008

Ricomincio da me! è un’iniziativa del Comune di Firenze – sportello EcoEquo – che offre la possibilità a 600 famiglie/single che abbiano voglia di mettersi in gioco di riflettere sul modo di vivere e di consumare. Dalla riduzione dei rifiuti al risparmio energetico, dal consumo critico al risparmio idrico, dall’alimentazione alla mobilità sostenibile, il progetto intende dimostrare come senza grandi rinunce sia possibile adottare nuovi stili di vita, all’insegna della riduzione degli sprechi e ad un uso più equo, rispettoso e responsabile delle risorse del pianeta.

Il progetto – realizzato in collaborazione con Legambiente, AIAB, Villaggio dei Popoli e Manitese – è operativo da ottobre 2008 a marzo 2009, e funziona attraverso una serie di laboratori pratici e incontri mensili tra gruppi locali dei vari quartieri di Firenze. Fiorentini: non mancate quest’opportunità di vivere sostenibile!